Kum!

Artist Tabula Rasa Ensemble
Music By Stefano Battaglia
Recording October 2020
Mixing / Mastering July 2022 Studio Artesuono – Cavalicco (Udine)
Sound Engineer Stefano Amerio
Artistic Production Stefano Battaglia, Tabula Rasa
Executive Production Accademia Musicale Chigiana
Co-production Siena Jazz –  Accademia Nazionale del Jazz
Cover Astra Limen Artwork
Graphics Elisa Caldana
Special thanks Stefano Jacoviello, Nicola Sani, Angelo Armiento, Francescantonio Pollice

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E’ il disco ispirato dal miracolo in senso etimologico, da miraculum, cosa meravigliosa al di sopra delle leggi naturali, in quanto supera i limiti delle normali prevedibilità dell’accadere, spingendosi oltre le possibilità dell’azione umana. Chi ama la musica sa che proprio la musica è il luogo privilegiato per incontrare miracoli, e il suono la chiave per aprire le porte della meraviglia, dell’imprevedibile, dell’inaudito.

Questo mistero, il miracolo del suono, è l’aspetto irresistibile della pratica dell’improvvisazione musicale, sia perché la creatività e dunque la creazione provocano in sé meraviglia, sia perché la somma di coscienza e competenza individuale non è sufficiente a determinare una previsione completa e controllata dell’oggetto musicale. Da qui l’incanto dell’incontro con la materia sonora, la rivelazione. Questa emozione va protetta, non razionalizzata. Anzi, nel mio caso lo scopo è proprio crearlo, il mistero; non risolverlo, o addirittura spiegarlo. Ciò che non ho mai visto e non comprendo mi spinge a tornare in quel luogo, esplorarlo di nuovo.
Il suono ci guida ad una pratica e ad una forma di sapere esoterico ed iniziatico. Esoterico perché si nutre del suo mistero, iniziatico perché nasce e si rivela e al contempo favorisce la rivelazione individuale e collettiva dei suoi esecutori/creatori attraverso il percorso, il viaggio -anche travagliato- che il mistero ci invita a compiere o, secondo i casi, ci impone di affrontare.
Kum! È la radice di molte parole che portano allo stesso significato di levarsi, ma anche risorgere, rimanere in piedi, reggersi e restare saldo.
Risorgere da una morte naturalmente concepita come passaggio, attraversamento, esperienza dolorosa o malattia. Un significato che è arricchito dai concetti essere, esistere, collocarsi, ma anche di (ri)salire, (ri)mettersi in cammino, e (ri)partire.
E’ l’opera che elabora in musica l’esperienza della pandemia globale vissuta tra il 2020 e il 2022.

Legenda

come il brano conclusivo Lucem racconta l’esperienza della trascendenza attraverso la

rinuncia del sè, che in musica si traduce in rinuncia del linguaggio e del fraseggio idiomatico a favore di una purezza universale, che avviene per mezzo di una integrale destrutturazione dell’azione: il suono a sè stante, in sè e per sè, e la dilatazione dei ritmi e dei valori sono la chiave di questo lento processo verticale, manifestazione di un’ascesi. La scrittura è una semplice scala cromatica ascendente, ma la disciplina individuale nel destrutturare compie la magia, perché i suoni isolati privi di attacco entrano in osmosi tra loro e creano la sensazione eterica della perdita, del distacco corporeo.

E’ il racconto di Isaah, la povera donna emorroica modello di semplicità, fede ed accortezza. La sua malattia, oltre al fatto di renderla legalmente impura, all’epoca, era umiliante e la privava della possibilità di avere figli. Quando tra la folla Isaah riesce a toccare il mantello di Gesù, immediatamente avverte fermarsi il flusso di sangue.

Alzati! Il principio compositivo che lega Kum!, Qawm e Goum è quello della

trasformazione e della variazione. Dunque un’unica melodia manipolata e sottoposta a differenti variazioni armoniche, così da creare un trait-d’union tematico potente ma non troppo esplicito tra i tre album. Kum! rappresenta la relazione tra l’elemento sacro e quello magico del miracolo. Musicalmente è tradotto in piano solo dalla relazione tra le triadi perfette delle orchestrazioni, simbolo sacro per eccellenza, e la scala esatonale priva di polarità del canto, che evoca l’elemento magico.

Pietre. Dopo il drammatico incontro con il male culminato con l’esorcismo dell’indemoniato di Gerasa, Gesù si sposta nuovamente sull’altra riva del lago di Tiberiade (o Mare di Galilea, o mare di Gennèsaret) per giungere in Galilea sulla sua sponda pietrosa. E’ potente questo dialogo tra le due sponde del lago, la tempesta e la pace, l’acqua e la pietra, il sublime e il terreno, la solitudine e la folla, il bene e il male. Ed è importante estrapolare dalla narrazione simbolico evangelica della bibbia elementi concretamente storici, materici, paesaggistici, che ci ricordano il sole e le notti del Medio Oriente, gli uomini e il pane, i pescatori e i pesci, le pietre e i fichi, il sangue e gli ulivi.

E’ una formula magica, un’incantesimo. Una forma senza forma per evocare la magia del

miracolo e il miracolo della magia attraverso lo stupore incredulo della folla dinanzi ai gesti esoterici e virtuosi del Maestro, che immagino incarnato nel flauto.

Venuta la sera Gesù disse loro: “Passiamo all’altra riva”. La sera segna la fine della giornata “didattica” dell’insegnamento in parabole ed inizia una serie di viaggi in barca di Gesù, avanti e indietro tra la riva occidentale giudaica e quella orientale del lago. Questo racconto è il primo di una serie di miracoli fuori dai confini della Galilea, in terra pagana. Il buio e il vento avanzano e la tempesta rende spaventoso il viaggio. Gesù appare in perfetto controllo delle forze scatenate della natura e il suo atteggiamento fa sorgere nei discepoli delle domande sull’identità del Maestro: chi è dunque costui? I suoi comandi che riportano la bonaccia sono un miracolo e la prima rivelazione “pubblica” di Gesù, colui che ha autorità sulla tempesta, sul vento e sul mare.

Una tentazione a cui non ho resistito: sfruttare le possibilità semantiche di un tradizionale Trio con pianoforte (qui oboe, violoncello e piano) ed usare il contrappunto come tecnica per evocare l’intarsio di eventi misteriosamente intrecciati fra loro e svolti in contemporanea all’arrivo di Gesù in Galilea: la guarigione di Isaah e la risurrezione della fanciulla. I dialoghi simultanei con la folla e quelli con Giairo.

Per il suo suono struggente la tibia (tibiae) accompagnava il canto nella nenia durante i riti funebri, come ci riporta il poeta Orazio. Il nome deriva naturalmente dall’essere costruito da una tibia animale, solitamente un ovino o un asino. Il flauto è strumento simbolico, universale, sempre esistito. Le ossa cave, le canne di bambù, l’astragalo delle fiabe archetipe tradizionali. Sino alle grandi tradizioni della contemporaneità, da Debussy a Boulez, passando per Le Merle Noir di Messiaen. Dopo la voce è lo strumento che più di ogni altro rappresenta l’atemporalità, collega antichità e modernità, il primitivo con la sofisticazione, il divino con il terreno, il sacro col profano, lo spirito e i sensi, l’ascetismo del suo registro argenteo e la sensualità del corpo e il suo respiro. Gesù giunse a riva e nella confusione della gran folla si udirono un suono di flauto e di zampogna.

Complementare e speculare all’introduttiva Elevatio, il disco si chiude con un’altra

trasfigurazione: la luce. Il prodigio della luce è un’allusione di vita, (ri)nascita, risurrezione ed elevazione. La destrutturazione qui esplora i registri più chiari e luminosi degli strumenti in contrasto con le corde di arpa e piano. Luce iniziatica e uterina come quella che proviamo alla nascita, accecante come quella del Mediterraneo, tenue come quella delle candele, incandescente come la lava, il sangue della terra. Il suono e la luce sono le fonti del timbro/colore, per ogni musicista o pittore segno identitario ed identificante. Infine la speranza di un’ascesi, la consolazione di diventare luce. Una trasparente scia luminosa.