Goum

Artist Tabula Rasa Ensemble
Music By Stefano Battaglia
Recording October 2021
Mixing / Mastering July 2022 Studio Artesuono – Cavalicco (Udine)
Sound Engineer Stefano Amerio
Artistic Production Stefano Battaglia, Tabula Rasa
Executive Production Accademia Musicale Chigiana
Co-production Siena Jazz –  Accademia Nazionale del Jazz
Cover Astra Limen Artwork
Graphics Elisa Caldana
Special thanks Stefano Jacoviello, Nicola Sani, Angelo Armiento, Francescantonio Pollice

 

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E’ il disco delle orazioni, della parola e del linguaggio, delle arringhe e delle preghiere, delle invocazioni e delle confabulazioni, del discorso e dell’eloquio, del dialogo e della conversazione. Il termine Goum ha lontanissime origini semitiche. Gli abitanti dell’Asia occidentale, arabi e ebrei, si esprimevano in una lingua concreta, in cui le parole derivavano direttamente dall’esperienza, dalla vita vissuta. Per indicare Dio, parola astratta che indica lo splendore, viene usato “colui che è, che era e che viene” al posto di “l’Eterno”. Oppure “nei secoli dei secoli”, formula che indica un tempo, al posto di “l’eternità”. Stessa radice di kum, (qâma), goum è una raggiante parola della lingua araba che contiene una triplice idea di tribù, vita e resurrezione. Un popolo che si mette in piedi e torna alla vita. Fin dai tempi più remoti, i Berberi occuparono il Maghreb e sotto le influenze cristiane ed islamiche persero progressivamente le tracce della loro civiltà, ad eccezione di alcune tribù che si rifugiarono tra le montagne dell’Atlante. I turchi furono i primi a riconoscere loro una identità, con una esistenza ufficializzata ed una precisa struttura tribale. I Goum furono popoli liberi che sono riusciti a sfuggire alle invasioni ed eludere dominazioni sino all’inizio del novecento, quando da predoni liberi si trasformarono lentamente in forze ausiliari militarizzate, armati ed equipaggiati dai francesi nella seconda guerra mondiale.

La parola Goum, piena di libertà e di stretta fraternità tesa verso l’esistenza, un popolo nomade in cammino sulla via della libertà, che fugge alla morsa distruttiva delle società senza Dio dalle quali è circondato, come recita uno dei suoi principi.

Legenda

È la quarta lettera di molti alfabeti semitici (siriaco, ebreo, arabo, fenicio). Il suo geroglifico, dall’Età del Bronzo, indica una porta. Apre il disco, è l’ingresso a questa raccolta di orazioni. La scrittura musicale di queste orazioni è morfologica, si basa sulla figura simbolica del triangolo con uno o due strumenti che agiscono in asse ed uno che ha la funzione narrativa di salmodiare, invocare, pregare. Daleth vede il pianoforte vertice e arpa e percussioni alla base.

La salmodia d’introduzione e la coda sono affidate ad un angelo come Harris Lambrakis e al suo ney, che infatti suona come canterebbe un angelo. Il ney è strumento simbolo della preghiera, la sua voce incarna la condizione umana di divino desiderio: il teologo afghano del duecento Jalal-al-Din Rumi ci ha trasmesso con la sua poesia mistica che così come la canna è stata separata dal canneto, l’uomo vive la sua separazione con il suo Creatore. E ancor oggi sulla sua tomba a Konya si ode il suono di un ney. Data l’enfasi simbolica attribuita al ney dal poeta mistico persiano, lo strumento assunse presto un ruolo dominante nei circoli Sufi di Baghdad, in una una pratica rituale di ascolto del Corano chiamata sama, nel corso della quale ben presto si introdussero componimenti poetici e musica. Strumento melodico per eccellenza, capace di evocare in modo suggestivo la voce umana con tutte le sue inflessioni, al ney veniva affidato l’importante compito di introdurre, attraverso una improvvisazione detta taqsim (taksim in turco), il modo o maqam sul quale si sarebbero radicati tutti i successivi brani del sama.

Da quando mi strapparono dal canneto, / ha fatto piangere uomini e donne il mio dolce suono! Un cuore voglio, un cuore dilaniato dal distacco dall’Amico, / che possa spiegargli la passione del desiderio d’Amore;
Perché chiunque rimanga lungi dall’Origine sua, / sempre ricerca il tempo in cui vi era unito. Fuoco è questo grido del ney, non vento; / e chi non l’ha, questo fuoco, ben merita di dissolversi in nulla!
È il fuoco d’Amore ch’è caduto nel ney, / è il fervore d’Amore che ha invaso il vino [mey].
Il ney è compagno fedele di chi fu strappato a un Amico; / ancora ci straziano il cuore le sue melodie.»

E’ ancora la melodia mantrica di Kum! e Qawm, stavolta trattata come una danza in

cerchio. Viene la sera e la tribù nomade dopo il cammino si stringe a celebrare la vita attorno al grande fuoco. La notte e il deserto, la musica e il profumo del cibo, il canto e la danza, la luna e le stelle.

Uno degli aspetti più interessanti del racconto che Marco fa della giornata dei miracoli è proprio il segreto messianico. I documenti che narrano dei miracoli di Gesù si concludono sempre con il divieto imposto da Gesù stesso di diffondere notizia dell’accaduto, perché solo con la resurrezione ci sarà la piena rivelazione. L’unica occasione nella quale Gesù comanda la diffusione della notizia del miracolo avviene a Gerasa, in occasione dell’esorcismo del posseduto. Egli vive ostracizzato e alienato tra i sepolcri, come se fosse un uomo già morto in preda a forze distruttive. E’ la melodia mantrica di Kum! e Qawm, stavolta trattata come una danza in cerchio. Viene la sera e la tribù nomade dopo il cammino si stringe a celebrare la vita attorno al grande fuoco. La notte e il deserto, la musica e il profumo del cibo, il canto e la danza, la luna e le stelle.

La seconda orazione è per due voci, chitarra e cimbalo antico, costruita sul dialogo di due preghiere cantate. Sono il Kyrie Eleison in latino e in greco, l’invocazione (proprio di origine greca) inserita nei riti religiosi cristiani tra l’Introito e il Gloria. La gloria e le speranze sono quelle di sentire un giorno un immenso coro di preghiere intrecciate, ogni popolo che prega il suo Dio, chiunque egli sia, in pace e armonia. Quella Terra è santa per tre religioni e oggi, dopo decenni di orrori e il genocidio palestinese in corso a Gaza per mano del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, si deve trovare ad ogni costo la ragione per una convivenza. Signore, abbi pietà di noi, dice il Kyrie Eleison. Oggi questa preghiera è necessariamente dedicata al popolo palestinese. Goum!

Si tratta della terza orazione, per sax soprano (l’oratore), piano preparato e percussioni: è un cammino. Cafarnao (in ebraico Kefar Nahum, letteralmente villaggio di pescatori) è il luogo del lago di Tiberiade verso cui si dirige Gesù per iniziare a predicare muovendosi da Nazareth, compiendo numerosi miracoli e stabilendo il centro del suo insegnamento. Inascoltato, finì per maledire Cafarnao. Per la letteratura rabbinica era una comunità di eretici cristiani. Qui, seppellita, è stata trovata la casa dell’apostolo Pietro.

Il Mediterraneo, Mare Nostrum, è lo spazio mitico e concreto che ci connette (e non separa!) al Medio Oriente. La Puglia, o meglio le puglie, come i pugliesi tengono a sottolineare, sono ovviamente con la Sicilia il terreno di più profonda influenza araba, turca e saracena. Il Salento in particolare è stato crocevia di razze e religioni e la sua taranta salentina è uno dei simboli della nostra Italia mediterranea. La tradizione dice che, originatosi nella provincia di Taranto, il ballo è legato al complesso e rituale fenomeno del tarantismo, termine per designare la Lycosa Tarentula, ragno velenoso diffuso nelle campagne tarantine, e la terapia applicata al suo morso. La tradizione affidava al veleno di questo ragno effetti diversi, a seconda delle credenze locali: malinconia, agitazione, convulsioni, disagio psichico, dolore fisico e sofferenza morale.

Chi veniva morso o credeva di essere stato morso da una tarantola (ma anche da scorpioni, insetti o rettili vari) tendeva a un esagerato dinamismo e ricorreva a terapie coreo-musicali che, mediante l’insistenza della pratica della danza, provocavano l’espulsione del veleno attraverso sudori e umori. Il sole suona e il mare canta! Il Calamo Canto è la zampogna, formata da più zufoli di canna di palude.

E’ una seconda versione del brano apparso nell’album omonimo.

La quarta orazione è un rito di purificazione per voci, arpa, ney e percussioni. Racconta del miracolo dell’emorragica Isaah, che sanguinava da dodici mesi e che, nella disperazione, riesca a toccare la veste di Gesù e guarire.

E’ una seconda versione del brano apparso nell’album Qawm.

La quinta orazione è ancora un Trio con il piano recitativo in preghiera insieme all’arpa e le percussioni. E’ la preghiera di Giairo, l’archisinagogos di Cafarnao che si recò sulle rive del Mare di Galilea per pregare Gesù di guarire la figlia dodicenne malata, gettandosi ai suoi piedi disperato, tra la folla. All’arrivo, nella sinagoga la bambina era già morta e a quel punto tutti sembravano d’accordo che fosse inutile disturbare il taumaturgo, ma Gesù rassicurò tutti, prese per mano la fanciulla e in aramaico pronunciò “Talitâ kum!

L’ultimo brano contiene nella sua forma il dialogo tra due orazioni, la sesta e la settima, entrambe urgenti e solenni: il trio avente la morfologia triangolare con al vertice il sax alto, il flauto basso e il corno inglese alla base. Questa chiamata ha il carattere invocatorio di un convegno, una discussione, di un patto tra furfanti la cui intesa è da raggiungere attraverso l’arringa. La seconda parte invece ha un secondo Trio avente il carattere misterioso del conciliabolo, della riunione appartata, lontana dalla folla. Il sax soprano è l’oratore sul contesto di piano e percussioni.

Colgo l’occasione di queste orazioni paradigmatiche rispetto alla ricerca sul suono che accomuna tutti i musicisti del Tabula Rasa Ensemble, per esprimere riconoscenza e ammirazione per la loro capacità di usare la trasformazione/trasfigurazione del suono per raggiungere gli obiettivi specifici dell’evocazione. Conferma che si possono ottenere risultati straordinari al di là dello strumento solo quando il musicista raggiunge la coscienza che egli stesso è strumento della musica.