Out Beyond

TETRAKTYS
Music By Tetraktys
Tommaso Iacoviello Trumpet
Sarvin Asa Cello
Stefania Scapin Harp
Stefano Battaglia Piano
Recording February 2022
Mixing / Mastering June 2024 Studio Artesuono – Cavalicco (Udine)
Sound Engineer Stefano Amerio
Artistic Production Stefano Battaglia, LPRM (Laboratorio Permanente di Ricerca Musicale)
Executive Production Sarvin Asa / Tommaso Iacoviello / Stefania Scapin
Cover Astra Limen Artwork
Graphics SimulArte
Available on
Là Fuori
Oltre a ciò che è giusto e sbagliato/esiste un campo immenso/Ci incontreremo lì/ La brezza del mattino ha segreti da dirti/Non tornare a dormire/L’anima è come uno specchio nitido/il corpo è la polvere che lo ricopre/Non si distingue la bellezza che è in noi/perché siamo sotto la polvere/Il modo in cui ami è il modo in cui Dio sarà con te/Solo dal cuore puoi toccare il cielo/Felice il momento quando sediamo io e te nel tempio/due figure, due forme, ma un’anima sola, tu e io/Nel momento in cui accettiamo i problemi che ci sono stati assegnati/le porte si aprono/Non sei una goccia nell’oceano/Sei l’intero oceano in una goccia/In un giorno in cui il vento è perfetto/basta solo spiegare le vele e il mondo si riempie di bellezza/Oggi è un giorno come quello/Se hai la passione per la sacra felicità/getta via la tua arroganza e diventa un ricercatore di cuori/Muoviti, ma non muoverti nel modo in cui la paura ti muove/La luce della luna inonda l’intero cielo da un orizzonte all’altro/quanto può riempire la tua stanza dipende dalle tue finestre/Sei nato con ideali e sogni/Sei nato con la grandezza/ Sei nato con le ali/Non sei stato concepito per strisciare/quindi non farlo/Hai le ali/Impara a usarle e volare/Diventa cielo/Prendi un’ascia e rompi le pareti della tua prigione/Fuggi/Quando io sono con te/stiamo svegli tutta la notte/ Quando non sei qui, non riesco a dormire/Ringrazio Dio per queste due insonnie e per la differenza fra le due/Ogni volta che riusciamo ad amare senza aspettative, calcoli e negoziazioni, siamo davvero in paradiso/Ieri ero intelligente, così ho voluto cambiare il mondo/Oggi sono saggio, così sto cambiando me stesso.
Jālāl-ud-Din Rūmī (1207 – 1273)
Track list
1. OUT BEYOND
2. I AM THE MOON
3. THERE IS A FIELD
4. EVERYWHERE AND NOWHERE
5. THE WHOLE OCEAN IN ONE DROP
6. THE MORNING BREEZE HAS SECRETS TO TELL YOU
7. VAULTS
8. CLAY WIND AND WATER
9. BECOME SKY (YOU WERE BORN WITH WINGS)
Legenda
Sarvin Asa
Questo album nasce come testimonianza del mio primo lavoro di ricerca in improvvisazione libera in piccolo ensemble. È stato un momento fondamentale del mio percorso artistico, in cui ho cominciato a esplorare la possibilità di esprimere me stessa al di fuori delle strutture tradizionali, oltre i confini stilistici e oltre la partitura.
I suoni del violoncello contenuti in questo album sono le mie prime scoperte, tracce di un percorso interiore ed estetico, che ancora oggi continua a evolversi.
Il quartetto che ha preso parte a questa esperienza era formato da musicisti con background molto diversi – alcuni provenienti dal jazz, altri dalla musica classica, come me. Questa diversità ha rappresentato una ricchezza e allo stesso tempo una sfida: abbiamo costruito un linguaggio condiviso e strategie di ascolto e interazione che ci permettessero di trascendere i generi di origine, trovando un punto d’incontro delle nostre sensibilità.
Un aspetto particolarmente interessante e distintivo di questo lavoro – anche nel contesto dell’improvvisazione libera europea – è stato l’adozione, da parte di tutti noi, di una “grammatica compositiva” comune, ereditata dai Laboratori Permanenti di Ricerca Musicale condotti da Stefano Battaglia presso Siena Jazz Academy. I nostri collocamenti nello spazio sonoro non erano quasi mai casuali, ma basati su principi di complementarietà condivisi e spesso dipendenti dall’azione dell’altro. Questo ha reso ogni gesto musicale profondamente relazionale, alternando coscientemente l’attenzione dal “dire” al “rispondere”, dall’iniziativa individuale al disegno collettivo.
Questi sono stati i miei primi passi nel mondo dell’improvvisazione, e per un musicista classico si è trattato di passi delicati: il focus si è spostato dall’esecuzione di estetiche altrui a una vera tabula rasa delle nozioni apprese, in favore di una ricerca personale dell’estetica, senza nessun “giusto” o “sbagliato”.
In questo spazio aperto, la mia identità si è messa in ascolto, e in maniera naturale ha cominciato ad emergere un richiamo profondo verso le mie origini iraniane: una predilezione per la rarefazione, per il registro medio-grave del violoncello, quasi a evocare il suono dei canti islamici dell’ora della preghiera. Questo colore sonoro ha risuonato fortemente anche con Stefano, che ha sempre coltivato un sentimento di vicinanza al Medio Oriente, e ha trovato spazio anche nel sentire degli altri membri del quartetto. Accanto a brani più contemporanei e di estetiche diverse, si sono quindi generate forme che richiamano chiaramente l’immaginario musicale mediorientale.
Da questa risonanza è nata una connessione con la poesia di Rumi, le cui parole hanno ispirato la scelta dei titoli dei brani e sono diventate un’immagine collante, extramusicale, che ha dato coerenza e profondità a tutto il lavoro.
Stefania Scapin
Nel mio percorso di ricerca, ho avuto il privilegio di confrontarmi con il pensiero di Stefano Battaglia, una figura che, attraverso la sua musica e il suo insegnamento ha espresso una visione dell’improvvisazione che risuona profondamente con la mia. Entrare in un laboratorio permanente dove il suono diventa specchio dell’anima e la creazione un atto di profonda auto-scoperta, in cui le nostre idee si incontrano e si rafforzano a vicenda, è stato veramente formativo.
Se l’unico spazio autentico è il presente, allora l’improvvisazione, che nasce “qui e ora”, si rivela la forma più vitale e necessaria di espressione artistica. È un invito a scuotersi e a ripartire, un’esortazione a riconoscere la musica come forza trasformativa, quasi rivoluzionaria, per il rinnovamento culturale.
Nel laboratorio fatto con Stefania, Sarvin e Stefano, il concetto di tabula rasa non è stata solo una teoria, ma una pratica quotidiana. Ogni sessione era un tentativo di approcciare il suono senza preconcetti, permettendo alle idee di emergere spontaneamente dall’interazione. Uno dei risultati più affascinanti è stato il generarsi di un “suono terzo”, un’entità sonora che trascendeva la somma delle singole voci. Questo “suono terzo” nasceva dai vari “assi creati” tra gli strumenti: l’interazione tra arpa e violoncello, tra pianoforte e tromba, e le combinazioni incrociate, davano vita a sonorità nuove e inaspettate. È stato bellissimo assistere e contribuire a questa genesi sonora.
Da questa interazione sono nate sonorità che abbiamo iniziato a chiamare, quasi per gioco, “Arpacello” o “Arpiano”, a indicare la fusione timbrica e l’interdipendenza che si creava tra gli strumenti. Nel nostro laboratorio, la spontaneità dell’improvvisazione si univa a una coerenza formale che sembrava quasi preordinata, ma che era in realtà il frutto di un ascolto profondo e di una consapevolezza collettiva.
La mia esperienza quindi nel laboratorio di ricerca, arricchita dalla risonanza con le parole di Rumi e dalla pratica collettiva con Stefano, Stefani e Sarvin, ha trasformato radicalmente la mia visione dell’improvvisazione. Non è solo una performance, ma una ricerca musicale continua, un potente strumento per risvegliare, attivare e, si spera, riscoprire l’Io. Come sottolinea spesso Battaglia, è un mezzo per rimanere svegli nel momento presente e sviluppare l’essere dell’Io.
In definitiva, i laboratori di Battaglia mi hanno sempre mostrato che l’improvvisazione è la forma più pura dell’essenza della musica: una creazione continua che trascende le categorizzazioni, animata da una forza unificante interiore, e che serve come espressione vitale e in continua evoluzione delle verità più profonde dell’umanità.
È un modo fondamentale di essere e creare nel mondo.
Stefano Battaglia
IL PONTE
La poesia di Rumi costituisce da sempre un saldo ponte tra il mondo islamico e quello occidentale per avvicinare tutti alla comprensione e alla divina compassione. La visione di Rumi è sempre attuale, urgente e oggi necessaria nel mondo diviso di questo secolo violento. Tende ad unire fedi e nazioni, parla il linguaggio universale dell’amore, che valica le barriere culturali e aiuta tutti noi ad allontanarci dalla politica dell’odio e della paura, della separazione e della divisione.
DAPPERTUTTO E IN NESSUN LUOGO
Il biografo di Rumi, Aflaki, riportò le parole di un sacerdote greco ortodosso: «Il maestro Rumi è come il pane. Piace a tutti». E in effetti la poesia di Rumi è davvero un cibo spirituale nutriente e delizioso, preparato con amore. Per questo, a oltre sette secoli di distanza, le sue poesie, oggi tradotte in molte lingue, restano dolcissime e vive sulle nostre labbra.
Io sono la Luna, dappertutto e in nessun luogo. Non cercarmi al di fuori; abito nella tua stessa vita. Ognuno ti chiama verso di sé; io ti invito solo dentro te stesso. La poesia è la barca e il suo significato è il mare. Vieni a bordo, subito! Lascia che la luna conduca questa barca!
TEMPIO VIBRAZIONALE
Nel XII secolo, gli stessi anni in cui San Francesco rinnovava il cristianesimo, Rumi rivitalizzò l’Islam mettendo al centro l’amore e dando segnali di profondo cambiamento al mondo islamico, divenendo nel tempo un punto di incontro tra Oriente e Occidente.
Anche per questo è da molti considerato un profeta, oltre che un poeta.
La sua opera principale, fondamentale per tutto il mondo islamico e in particolare per il sufismo turco-iranico, è il Mathnawi, capolavoro della letteratura persiana e del misticismo universale. E’ un poema di 25000 versi diviso in sei libri e da secoli tradotto e studiato in tutto il mondo, in Italia grazie a Gabriele Mandel Kahn, a cui l’Italia deve la conoscenza dell’arte e della cultura islamica.
Rumi segue il Corano ma ama tutte le religioni e tutte le trascende, liberato dalla schiavitù dei dogmi, dei concetti del capire a favore del sentire, dell’esperienza diretta dell’amore di Dio nel cuore.
La via di Rumi è la via della libertà spirituale e, come Gesù, afferma: il vero tempio non sono le chiese ma il nostro cuore, tempio vibrazionale di musica e versi, nel quale la preghiera nasce dall’ascolto interiore, e tutto nell’universo ruota vibrando, energia di luce e suono.
Nel Sufismo la parola Samà significa ascolto. Attraverso il ritmico girare su se stesso il danzatore Samazen abbandona la mente ed entra in sintonia con il suono e la luce dell’universo.
Alla fine della danza sacra viene intonato il canto di Hu, che scaturisce dall’interno del danzatore stesso.
LE RADICI DELLE RADICI DELLE RADICI
Jālāl-ud-Din Rūmī è nato nel 1207 da una nobile famiglia di mistici sufi vicino Balkh, antica città persiana della via della seta oggi in Afghanistan. Dopo l’invasione mongola vagò esule sino a stabilirsi a Konya, in Turchia, dove fondò l’ordine Sufi dei Mewlawi.
Suo padre, Bahâ Valad, era un rinomato studioso e un mistico sufi, ai cui sermoni si dice assistesse il re di Persia.
Nel 1244 Rumi avviene l’incontro con il derviscio Shams Tabrizi, letteralmente «il sole di Tabriz», che aveva dedicato tutta la sua vita alla pratica degli insegnamenti sufi. Le conversazioni con Shams provocarono in Rumi una profonda trasformazione che lo portò a dedicare gran parte del suo tempo alla poesia, sviluppando la pratica del samâ, dove meditazione, musica, canto e danza si fondono in un unico processo.
Rumi traeva la sua sussistenza dalla scuola religiosa, ma fu comunque un poeta molto prolifico e appassionato, producendo due capolavori della poesia persiana: Diwân Shams Tabrizi, in onore del suo maestro spirituale, composto di 44 mila versi di poesia lirica, e Mathnawi, «distici in rima su temi spirituali», composto di circa 26 mila versi.
Mentre il Diwân è ricco di poesie emotive e infuocate, il Mathnawi è un libro di poesia didattica che insegna la saggezza dell’amore o, nelle parole con cui lo stesso Rumi apre il poema: «le radici delle radici delle radici di tutte le religioni». A differenza di molti poeti soliti a correggere e perfezionare più volte le proprie poesie, Rumi era scriveva di getto e le recitava ai propri discepoli in uno stato di estasi e contemplazione, mentre ascoltava musica, danzava o nel bel mezzo di una conversazione. I suoi poemi sono dunque ricchi di immagini spontanee presentate in un linguaggio visuale poetico e immaginifico, marchio non solo di un abile poeta, ma anche di un maestro mistico.
la musica riflesso divino
I sufi usano una parabola per spiegare il senso del riflesso divino: l’amore e la presenza di Dio sono come il sole, troppo potente per essere guardato direttamente, ma di cui possiamo godere il riflesso sulle acque di un lago.
Nel regno del Non-visibile esiste un legno di sandalo che brucia. Questo amore è il fumo di quell’incenso.
Uno dei più grandi ostacoli ad accettare la presenza divina è il rifiuto di ciò che non si vede, e non si tocca. Ogni musicista vive questa esperienza percettiva molteplice: da un lato è la possibilità attraverso la musica di accorgersi del proprio lato divino e attivarlo, attraverso la creazione. Poi di vivere la musica come un’offerta e una preghiera, bere il vino dell’amore; infine portare la nostra attenzione sui sensi interiori più profondi, invitandoci a sentire Dio. O annusarlo come incenso. Nelle tradizioni sufi, cristiane, buddiste e hindu, l’incenso è proprio usato per evocare in noi il senso della presenza divina. La musica potrebbe essere paragonata all’incenso, non si vede e non si tocca, è puro amore attraverso cui la materia s’incarna, le resine e la brace divengono fumo e spargono le essenze, simbolo della presenza divina. L’acqua per il pesce e l’aria per gli animali, potremmo dire. Rumi vede questa essenza, l’amore, come matrice del cosmo. Nel moderno senso scientifico la spiegazione migliore che i fisici forniscono della forza gravitazionale non è quella di una semplice attrazione tra due corpi isolati, ma quella di una forza insita nella stessa trama dell’universo. Il mondo non è fermo e noi siamo mortali, dunque la mancata percezione dell’esperienza divina è in sé un sacrilegio.
La musica è uno dei sentieri per arrivare a Dio, e il poeta persiano ha sempre coltivato un profondo legame con la musica attraverso il ney, flauto che è considerato manifestazione dell’essenza dell’universo, simbolo dell’amore divino, ponte tra il mondo terreno e quello spirituale. Secondo i Sufi vi è una corrente sonora di vita che pervade l’universo intero, a causa della quale vi è corrispondenza tra macrocosmo e microcosmo: dal suo equilibrio si generano un suono e una danza universali. Anche il grande poeta persiano del trecento Hafez lo ode e così si esprime: io non so quanto sia lontana la destinazione, ma so che da lontano una musica arriva ai miei orecchi.
MUSICA E TRASCENDENZA
Il poema Mathnawî si apre con una lunga introduzione incentrata sul ney, il flauto di canna, che ci trasmette il respiro divino e l’importanza che la musica aveva nelle liriche di Rumi. Il ney è uno degli strumenti più antichi del mondo, esprime con dolente intensità la nostalgia dell’anima che anela a tornare a Dio per ricongiungersi. Per la filosofia induista è’ il flauto di Dio, il suono Hu del flauto di Krishna che pervade l’universo: seguendo quel suono l’anima ritrova la via di casa.
Gli stati coscienza si manifestano come vibrazione, musica e suono. La poesia è coscienza pura proprio perché esprime ritmo e musicalità. In area iranica e turca il canto, la musica e la poesia sono da sempre interconnesse.
Ciò che non può essere espresso in parole, lo si può esprimere in musica. L’armonia musicale, fin dagli albori ha espresso e portato la parola divina qui sulla terra dai mondi invisibili.
Il proemio del Mathnawi, con mirabile sintesi, esprime lo stato di separazione dell’anima, imprigionata nella condizione umana corporea, e del suo lungo viaggio verso il risveglio, il risveglio all’essenza del Tutto, pura Vibrazione. In molte delle sue poesie Rumi si riferisce agli stati della mente e dello spirito a cui i maestri sufi credono che l’amore conduca all’estinzione dell’ego, all’abbandono e all’annientamento, per molti aspetti simile al nirvana buddista, l’ebbrezza totale nell’amore divino: l’estasi. La dimensione ancora oggi interessante della pratica sufi è la ricerca di sperimentare l’essenza attraverso l’unità tra i tre centri individuali corpo-mente-spirito, usando la musica e la danza come strumento di trascendenza, allo scopo di raggiungere la condizione di estasi.
AMORE
Rumi attraverso la poesia scolpisce il suo messaggio di pace: Va’ e lava tutto l’odio dal tuo cuore sette volte con l’acqua. Poi potrai essere nostro compagno e bere il vino dell’amore.
In Occidente ci siamo convinti nel tempo che la pace e il progresso siano doni garantiti da qualche mano occulta e virtuosa. Traditi dagli intellettuali e dai politici viviamo cullati dal sogno che vivremo sempre più a lungo, sempre più sani sempre più ricchi. Le guerre di questi anni ci richiamano brutalmente al risveglio. Non dobbiamo rassegnarci a questo sonno. In questa nostra inerzia da benessere ci siamo scordati che la costruzione di ogni cosa richiede fatica e sacrifici, talvolta persino estremi. E così è sempre stato per tutte le generazioni che ci hanno preceduto. L’amore è l’alchimia della pace. Poco dopo la fine della seconda guerra mondiale, Albert Einstein osservò che «la guerra è vinta, ma la pace no». Rumi, settecento anni prima, aveva la stessa visione. La violenza non genera una pace duratura; solo la comprensione, la compassione, la gentilezza e la condivisione possono farlo e queste sono le qualità dell’amore. Il suo biografo Aflaki riporta che un monaco cristiano, avendo sentito parlare della grande preparazione spirituale e culturale di Rumi, andò a trovarlo a Konya. In segno di rispetto il monaco si prostrò davanti a lui e quando rialzò la testa vide che Rumi gli si era a sua volta prostrato di fronte.
Rumi espanse il dominio dell’amore dal campo delle relazioni interpersonali a quello delle fedi religiose e della pace internazionale. L’amore esiste da sempre, è più antico e radicato di qualunque istituzione religiosa nella storia, e tutte le religioni e le tradizioni spirituali si fondano su questo obiettivo comune: l’amore.