CENTRIPETA

WO VIEL LICHT IST, IST STARKEN SHATTEN
Dove c’è molta luce l’ombra è più nera
Johann Wolfgang Goethe
Quando más alto subía,
Deslumbróseme la vista,
Y la más fuerte conquista
En oscuro se bacia;
Mas por ser de amor el lance
Di un cielo y oscuro salto,
Y fui tan alto, tan alto,
Que le di a la caza alcance
Juan de la Cruz (Coplas a lo divino)
Più salivo in alto più
Il mio sguardo s’offuscava,
E la più aspra conquista
Fu un’opra di buio;
Ma nella furia amorosa
Ciecamente m’avventai
Così in alto, così in alto
Che raggiunsi la preda
Juan de la Cruz (Coplas a lo divino)
trad. Giorgio Agamben
L’OMBRA E LA LUCE, IL SILENZIO E IL SUONO
Queste liriche di Juan de la Cruz (1342-1391) rappresentano un manifesto della conoscenza sperimentale di Dio, dell’attraversamento del mistero, di una conoscenza che non è appropriazione ma spossessamento, non fulgore ma desiderio e travaglio. Una luce che si accende solo se si abita l’oscurità e ci si immerge nell’ignoto. Dove c’è molta luce l’ombra è più nera, scriveva Goethe nel 1810. Vale anche il principe opposto, naturalmente, perché è dall’oscurità che la luce diviene abbagliante, è dalla cecità che la luce dona la rivelazione. Allo stesso modo, solo abitando il silenzio più profondo si ha il desiderio del suono. Solo costruendo un tempio di silenzio attorno al suono può tornare il desiderio di musica. E la musica ci insegna ed invita ad abitare il turbamento come luogo vivo e propulsivo da cui non difendersi.
CENTRIPETA
E’ una piattaforma musicale senza distinzione di genere, razza e religione.
La Musica è il suo centro, il suo nucleo. Musica che non ha un nome, che non esiste.
La ricerca attorno ad essa per essa sono i tanti vari e diversi cerchi concentrici che ne vengono magnetizzati.
Simbolicamente giunge al trentesimo anno di vita del mio Laboratorio Permanente di Ricerca Musicale, nato nel 1996.
POESIA
Ho voluto introdurre con la poesia il manifesto di questa piattaforma discografica perché Centripeta sarà un luogo poetico. Ho bisogno della poesia, la cerco dappertutto. La natura è poetica. Il mondo è poetico. E il mondo ha tanto bisogno di poesia, di esseri poetici, di poeti poetici, di musicisti e danzatori poetici, architetti e registi poetici, pittori e fotografi poetici!
Il più bel libro sulla musica mai concepito, ed è significativo l’abbia concepito un poeta e non un musicista, è il ciclo di sonetti che Rainer Maria Rilke ha dedicato ad Orfeo, in quel Febbraio del 1922 nel quale il poeta ebbe una sorta di febbre creativa e in un solo mese oltre alle le Elegie Duinesi scrisse, di getto, i Sonetti a Orfeo.
Su di me ebbe un impatto deflagrante, lo considero una lettura iniziatica, quella che più ha influenzato la mia vita musicale.
La poesia è tutto ciò che mi interessa della vita, si accorge della bellezza e costruisce un tempio attorno ad essa. Nella musica le mie preferenze sono rivolte da sempre e per sempre, comunque, ai poeti. Qualsiasi sia il tempo che hanno vissuto, lo stile ed il genere musicale attraverso il quale hanno espresso il loro universo individuale. Questo ha molto influenzato i miei ascolti, i miei studi ed il mio gusto, che non è un gusto di genere ma unicamente di qualità dell’espressione. Che deve essere poetica.
RACCOLTO
Centripeta sarà un raccolto. Rilke nei suoi sonetti scriveva -per quanto il contadino si dia pena quando la semina in frutto si tramuta, ben poco conta: è la terra che dona-. Niente di più vero e profondo per un musicista: è la musica il dono. Vivere in essa e per essa è la restituzione. Non si può chiedere alla vita più di quanto già sai che essa non può dare. Piuttosto si comincia a capire che la vita è un periodo di semina e il raccolto è lì da sempre e non arriva mai proprio perché la semina continua all’infinito e quando il raccolto ti restituisce qualcosa si è già talmente concentrati nella nuova semina che del raccolto non ti accorgi, non ci badi più. Sino a comprendere che forse il dono è la semina, il raccolto è forse destinato ad altri, se sapranno e vorranno cogliere.
BELLEZZA
Niente mi può distogliere dalla semina, nulla mi può impedire di cercare la bellezza. Perché quando trovi la bellezza trovi l’ispirazione. E la bellezza è ovunque. E’ proprio la vecchia storia del viaggio e della meta: la bellezza è nel percorso, la bellezza è il percorso. Mai fermarsi! Quando sai che stai facendo ciò che sei destinato a fare devi provarci ogni giorno.
MOMENTUM
Momentum! Lo slancio, chi ha esperienza di improvvisazione musicale comprende con l’istinto cosciente qualcosa che altrimenti non andrebbe spiegato per essere compreso.
Lo slancio è il senso di questa nuova piattaforma. Come quello di un animale. Un lupo o un uccello. Una reazione, Una presa di posizione. Una prospettiva. Mi apre ad un progetto individuale ma comunitario. Circondato da tanti.
Uno sguardo mio sulla musica che mi riguarda, in molti aspetti differenti. Una finestra aperta, aperta su di un mondo differente abituato a guardare le cose da una prospettiva diversa. Mai scollegato dallo slancio. E’ una riflessione che mi permette di vivere meglio la relazione col mondo in cui vivo. E creo. Uno slancio verso l’alto che dopo tanti voli attraverso la musica mi prepara a costruire per tempo un altro tipo di volo verso l’alto, un’ascesi, un distacco. Che mi sollevi leggero lasciando tante cose a terra. Tracce. Segni. I suoni della tribù con la quale ho trascorso il Tempo nella Musica, alla quale sono devoto.
IL CERCHIO
Il Cerchio è il simbolo dei simboli. E’ simbolo del Principio creativo da cui tutto trae origine e cui tutto ritorna. E’ un simbolo strettamente legato al centro, al cuore, al nucleo. La relazione con l’unità primordiale trasparente, uniforme e indifferenziata. Il luogo sacro dove si concentrano tutte le energie materiali e spirituali. Il punto centrale della croce dal quale i raggi si dipartono e al qual convergono. La circonferenza con il punto centrale è il Sole, il cui calore è associato all’amore, e la luce alla bellezza e alla verità.
Il Cerchio sprovvisto di angoli e di spigoli simboleggia l’armonia, che in assenza di opposizioni e differenze, come l’alto e il basso si traduce in un’uguaglianza di principi.
È il simbolo dello spirito e del corpo eterico e configura la dimensione intellettuale e spirituale. Come gesto magico sferico, il Cerchio è un tempio ben definito, pur non essendo uno spazio fisico. Nell’esoterismo ha funzione di invalicabile limite magico sin dall’antica Babilonia, e anche i maghi cerimoniali del medioevo e del rinascimento utilizzavano i cerchi nelle cerimonie per proteggersi dalle forze evocate. Per tutti i popoli nomadi il Santuario per la divinità era concepito circolare, come le tende e la loro distribuzione negli accampamenti. Per delimitare il Santuario/ accampamento concepivano il bastone fissato al centro nel terreno come asse del mondo, e con un filo legato al bastone ruotando formavano il Cerchio, simbolo di unità e trasfigurazione osmotica del cielo e del cosmo. Non voglio scordare il simbolo del circo, che rappresenta per l’infanzia trasgressione e diversità, la fuga dal reale, l’inizio del rapporto col magico.
CICLI
Nella sua opposizione, il cerchio incarna anche il cielo in rapporto alla terra, a tutto ciò che è materiale, e come cielo è collegato al ciclo perenne della vita ben espresso dalla circonferenza, figura geometrica nella quale non è distinguibile il principio dalla fine, perciò simbolo di eternità e perfezione. La circonferenza determina anche un limite separatore tra la superficie interna definita e quella esterna infinita, da cui il senso di una dimensione comunitaria e tribale, stretta attorno ad un’unica appartenenza identitaria.
MOVIMENTO CIRCOLARE
Il movimento circolare, che è anche quello del cielo, è perfetto ed immutabile, senza inizio né fine, né variazione; rappresenta il Tempo il quale, a sua volta, può essere definito come una successione continua e invariabile di istanti identici gli uni agli altri. Ogni documento registrato rappresenta in sé un ciclo ed un istante, per il musicista: visione e genesi, ricerca e ritrovamento, travaglio e compimento. Persino l’oggetto che documenta questo ciclo è, da oltre un secolo circolare: e anche per questo si deve continuare a produrre…dischi!
DISC0
Oggi, con l’ennesima e sempre più veloce trasformazione dei supporti il rapporto con il disco è radicalmente cambiato ed il mercato non esiste più come lo conoscevamo. Con il crepuscolo di LP e CD il disco rimarrà nei secoli lo strumento lanciato dal discobolo sin dalle prime Olimpiadi di Atene e l’oggetto sul quale è stata incisa la memoria della civiltà del novecento attraverso la musica. Siamo ancora nel pieno di una transizione verso la scomparsa dell’oggetto, ma la comunità orfane di un luogo a cui riferirsi continua ad esistere e produrre energie preziose in mezzo a montagne di ostacoli di vario genere, tra cui l’orientamento e l’indifferenza. Non è una novità e non è una esclusiva della comunità musicale. E’ un atteggiamento generale e radicato nei confronti della ricerca che da sempre coinvolge praticamente ogni settore della vita espressiva, quando non scientifica. E persino lì serpeggia insoddisfazione. Necessario perciò un luogo di riconoscimento ed accoglienza.
(CON)CENTRAZIONE
Una casa nella quale, significativamente, la parola concentrazione è certamente un valore, in più dimensioni, direzioni e a più livelli. In primis concentrazione sull’oggetto musicale, i contenuti. Molta parte della comunità musicale è concentrata sul sé e usa la musica come puro strumento di rivelazione, centrando dunque su di sé, più o meno consciamente, gli obiettivi dell’azione musicale. Io penso invece che si debba umilmente rafforzare il sè in virtù di una più potente offerta musicale, e che debba essere unicamente la musica il nostro obiettivo: e il più delle volte l’assenza di ego produce una sostanza buona assai più nutriente per l’oggetto musicale che non l’ego individuale. Parlerei in questo senso di con-centrazione musicale: essere centrati sulla musica, per la musica. La concentrazione consiste nel focalizzare la nostra attenzione su un aspetto preciso della nostra esperienza. Concentrazione in senso di affluenza e convergenza di una certa sostanza verso un punto determinato, Concentrazione in termini di rapporto tra la quantità di quella sostanza rispetto alla quantità totale: e in questo senso sarà proprio il Laboratorio Permanente di Ricerca Musicale lo spazio su cui Centripeta concentrerà la sua attività.
UNITAS MULTIPLEX
Nel 2005 avevo usato il concetto di unità molteplice nel libretto dell’album ECM Re: Pasolini per descrivere la complessità della figura di Pierpaolo Pasolini (poeta, regista, saggista, intellettuale, ecc). Quel concetto, mantenendo il suo senso quando trasposto ad un pensiero musicale poli-idiomatico, si manifestò senza mai concretizzarsi nella -mai nata- UM (Unitas Multiplex), che aveva associato decine di musicisti di aree espressive diverse. L’idea nasceva dal decennale del Laboratorio Permanente di Ricerca Musicale che ancor oggi coordino e che è giunto al suo trentennale.
Nel 2007 nasceva l’idea di creare una piattaforma discografica che desse voce ad precisa area creativa del panorama musicale. Area che si può sintetizzare in “arte dell’improvvisazione musicale”, e che dunque non definisce dei confini di carattere idiomatico-musicale, tanto meno ideologico–musicali. Attorno ad esso si è creata nel tempo una vera e propria comunità musicale trans-idiomatica e trans-generazionale, piena di talento, conoscenze, coscienza ed urgenza espressiva. Quella comunità aveva bisogno di un fulcro, un Centro. Centripeta è oggi quello che voleva essere la UM nel 2007.
ETHOS PATHOS LOGOS
Nell’ideale e virtuoso triangolo che rappresenta l’oggetto musicale (il cosa), formato da ethos (perché lo fai), pathos (come lo fai) e logos (attraverso quale forma/ linguaggio lo fai, in termini estetico-stilistici) i primi due diventano il contenuto da privilegiare, oggi, proprio per l’eccesso di logos sofisticati in possibile teorico dialogo che rischiano di allontanare dal significato metalinguistico proprio a causa della complessità della comprensione. E l’improvvisazione è uno straordinario strumento naturalmente trasversale ed unificante proprio dei logos, attraverso l’incredibile varietà di influenze, contaminazioni e tecniche che oggi sono in circolo e dunque potenzialmente assimilabili attraverso feroce desiderio, incrollabile passione e moltissimo lavoro.
IL NOME DELLA MUSICA
Proprio questo elemento universale, la mancanza di un nome altro da dare alla musica, di un logos unico e certo a favore di un non-logos o più logos complessi e articolati, ha reso da sempre misteriosa la percezione chiara di quest’area, che proprio attorno all’assenza di barriere e limiti costruisce l’appartenenza.
E’ consequenziale la fatica a trovare uno ambito in qualche modo protetto, senza cioè finire per sentirsi inevitabilmente inseriti in spazi non sempre adeguati, in cataloghi che per diverse ragioni non riescono a creare una identità verso la quale provare spirito di appartenenza e definire un carattere univoco e unitario. Carattere che, non essendo centrato sui linguaggi e gli stili, che sono per così dire il vestito della musica, per il mercato non ha né un nome né un cognome. Da qui le difficoltà di collocazione, sia nei circuiti concertistici che in quelli discografici, dove l’elemento magnetizzante, il comune denominatore è proprio il linguaggio d’appartenenza. Che musica suoni? Parlaci del tuo stile. In quale scaffale ti inserisco? E ora che non c’è più lo scaffale? Quante volte ci siamo sentiti rivolgere un simile quesito che a chi lo pone sembra persino una semplice curiosità utile a comprendere la collocazione estetica del musicista che ha davanti, ma che il più delle volte finisce per essere una riflessione svilita su dedali e misteri imperscrutabili che nessuna parola e solo la musica, che linguaggio non è, può descrivere.
TEMPO REALE
La musica ha il dono di (col)legare l’umanità in una zona di comprensione che è universale, di coscienza percettiva. Per questo i legami tra esseri viventi, quando vissuti attraverso l’esperienza della musica, possono essere addirittura più complici, intimi e profondi. La musica, per costruire e difendere il suo ruolo sociale nella vita di questo pianeta, ha necessità di lasciare continuamente traccia del suo tempo, in modo da aggiungere il suo piccolo pezzo di presente nel divenire dinamico della sua storia. Lo strumento della musica è il musicista, e per il musicista il presente è l’unico tempo che esiste nella sua zona di attenzione propulsiva, determinata e determinante. Il passato è trascorso e non esiste più se non attraverso la nostra capacità di tenerlo vivo dentro di noi come un silenzioso immortale maestro, e il futuro non è mai esistito, non c’è mai stato e ancora non è arrivato, anche se gli stiamo proiettando proprio ora il gesto dell’adesso, dalla cui qualità dipenderà la sua sopravvivenza.
MUSICA CONTEMPORANEA
La filosofia di Centripeta è senza dubbio quella di una piattaforma per la musica contemporanea, in senso universale. Cosa rende ancor oggi molte tradizioni una avanguardia, per molti aspetti? Il fatto che erano musica contemporanea, musica del loro tempo. Questo rende atempore il messaggio. E’ la testimonianza di un microcosmo (l’individuo) e al contempo di un macrocosmo (la civiltà nel quale l’individuo vive), nel momento in cui viene colta e sintetizzata in un’opera.
E’ il desiderio di manifestazione dell’adesso, complementare al desiderio di rappresentazione del passato.
La mia attività musicale, da sempre può essere intesa come un tentativo di riscoprire i valori arcaici e atemporali della musica attraverso la musica contemporanea.
Amo molte tradizioni. Alcune le ho studiate appassionatamente. Non cerco di essere moderno, o all’avanguardia. Molte cose che suono sono del tutto tradizionali.
E talvolta capita che le cose che sono già state suonate siano le più sorprendenti. Dipende dalla loro natura e non dalla loro epifania. E dalla verità nel momento in cui ho bisogno di suonarle. Ci colpiscono da secoli con la loro novità, tanto più grande quanto è profondo il pozzo del Tempo che da esse ci separa. E’ questo che appassiona della contemporaneità, la possibilità di esplorare e sperimentare ma anche di recuperare, manipolare, trasformare, sintetizzare.
Non è facile parlare della cosiddetta musica contemporanea, perché la parola situazione presuppone uno stato definito. Mentre ciò che caratterizza lo stato attuale della musica è proprio la sua indefinibilità. Oggi mi interessa unicamente la musica come soggetto artistico, espressione più vera e profonda della civiltà, quindi una disciplina che possiede principi propri e distinti, una propria libera sintassi, possibilmente collegata ad una prassi rituale quotidiana. Una materia prima ineffabile, inesprimibile a parole ma costituita da parametri precisi, e contenuti e scopi che nessun altro campo dell’attività umana può rimpiazzare.
IL NOME DEL MARCHIO
Il nome delle cose. E’ sempre un ostacolo, perché il nome sembra uccidere qualsiasi idea. O, forse anche peggio, si identifica in essa addirittura sostituendosi ad essa.
Il desiderio è la necessità. La musica dovrebbe contenere intrinsecamente e poi veicolare solo desiderio di musica. Necessità e desiderio di chi la fa, necessità e desiderio di chi l’ascolta.
E’ questa attitudine a mercificare il desiderio che va trasformata, capovolta. Il desiderio si è trasferito nel nome, in quello che è il segno del desiderio e quindi nell’automa, il quale si muove da sé. Questo finisce per colpire il linguaggio, perché mentre le forme della parola antica erano essenzialmente pedagogiche e di una pedagogia rivolta al sapere e alla saggezza, in una società fondata sulla mercificazione e dunque sul nome/marchio dei suoi desideri che diventano tramite di consenso e denari, la parola diviene essa stessa merce. Si tratta allora non di criticare il desiderio (sacrosanto e benedetto!), ma di capirne la trasformazione. Lo stravolgimento.
DESIDERIO
E’ evidente che il segno del desiderio è profondamente cambiato, ma non per questo è cambiata la sua caratteristica antropologica fondamentale: il desiderio è una proiezione e resta il contrario del possesso, ciò che ne svela l’illusorietà. Il desiderio è il nostro nome! Quando qualcuno si sostituisce a noi realizzando tutti i nostri desideri e dando loro un nome, compie un sacrilegio infernale. Affibbiare un nome ad un desiderio, un’urgenza espressiva, crea corto circuito. Noi viviamo di riflesso a questa identità come fosse una sostanza della quale preoccuparci costantemente. Invece ciò che conta è la presenza e la verità di quei desideri, in costante trasformazione, senza la pre-occupazione se la sua comunicazione ha avuto successo o non lo ha avuto, se quella verità è stata riconosciuta o non lo è stata, se viene amata oppure no e se sì, quanto. Questa pre-occupazione è una patologia che ammazza il desiderio, eppure un delirio da cui non è facile avvedersi. Sin dall’età dello studio è evidente che siamo entrati in una fase nella quale il desiderio ha cambiato segno, o meglio, si è identificato col segno ed è impazzito in un corto circuito, ovviamente. Oggi sappiamo che persino la felicità è nel desiderio. Nella sua presenza, non nella sua realizzazione.
V. V. (VOLUNTAS VERITAS)
“Voglio suonare…” nei secoli si è sostituito al più veritiero -e sano- “suono così e dunque appartengo a…”; quindi un desiderio che nasce da una volontà, nel nome e non, viceversa, da una passione pura. O dalla verità essenziale e della sua sentenza a cui do un nome. Voglio identificarmi in un desiderio che nasce da qualcosa che è fuori di me, altro da me. Non è dentro di me. E infine a me si sostituisce ed io in esso mi identifico. Il problema è che la musica è musica, e l’arte è l’arte, i nomi e i vestiti che diamo alla musica e all’arte sono simulacri, non bastano. Voglio dire che se io mi fossi identificato in X nessuno al di fuori di me e di quanti conoscono il mio vero nome se ne sarebbe accorto. Ma io mi sarei perso. E allora cos’è la volontà, e da dove viene? E’ solo l’antidoto della pigrizia? No, non solo, ha a che fare con la determinazione. Dunque una forza della mente. O è più spirituale? Dunque una fede? Anche. La volontà, nella musica utilissima per l’attitudine quasi religiosa di disciplina quotidiana, quando non ha corrispondenza nei suoni che si producono realmente, se la porta via il vento. E’ comunque debole.
Il punto è quello che ci sta dietro: il desiderio. Che è istintivo, urgente, non ha bisogno di pensare.
L’unica ragione per la quale ho scelto lo strumento dell’improvvisazione per esprimermi è seguire il desiderio. Adesso, hic et nunc, nella verità più totalizzante. Che significa totalizzante? Che se è vero che l’essere è uno e trino (corpo, mente e spirito) per avere un’adesione perfetta a ciò che suono devo sentire la partecipazione simultanea (contemporanea..!) di tutti e tre i miei centri. L’assenza anche parziale di una di queste parti dell’essere produce parzialità anche nella musica che suono, sia come interprete che, a maggior ragione come improvvisatore/compositore.
Chiamo questa sensazione di presenza voluntas, per definirne contorni diversi da quelli abitualmente affidati alla volontà associata ad una determinazione mentale. Una volontà speciale e totalizzante del tutto simile alla vocazione, dunque non esclusivamente razionale, che comprende in una somma osmotica corpo mente e spirito. E in uno stato più vicino all’abbandono che al controllo.
OLTRE
E’ in sintesi la differenza tra la sostanza e il suo vestito, tra l’attore e la sua maschera, tra l’essenza e la personalità. E allora non si tratta più di dare rappresentanza al desiderio di musica x o y ma di sottrarsi alla mercificazione di parole vuote. Forse andrebbe detto svuotate, ma il risultato è lo stesso. Basta. Ne parliamo da cinquant’anni. E’ il momento di farlo, di staccarsi dal nome. Definitivamente. E’ sinonimo di tutto e di nulla, di molte cose e del loro contrario. Non servono più e già da tempo sono dannose per l’identità culturale di molti caratteri musicali. Ad essere molto fortunati la cosa potrebbe reggersi se la musica fosse solo un linguaggio, mentre la musica è anche un linguaggio, volendo. Ma nessuna musica può essere svilita a mera grammatica e sintassi, mai diventare esclusivamente una somma di regole e principi che formano l’idioma. E’ un meta-linguaggio. Oltre il logos, appunto.

MISTERO
Ed è in quell’oltre che si muove il mistero della musica, che è anche la zona più rilevante, in quanto collegata intimamente con l’individuo unico ed in-divisibile, sia il suo esecutore che il suo ascoltatore. E con il presente che questo individuo abita. Ed è proprio la disponibilità ad abitare ed incontrarsi in questo mistero che rende possibile la comunicazione tra esseri viventi che parlano lingue diverse, appartengono a civiltà diverse, abitano luoghi del pianeta distantissimi tra loro, sia geograficamente che temporalmente.
Si rende possibile così avere la percezione chiara che vi sia una comprensione profonda extra linguistica che ha il suo fulcro nel mistero del sé individuale, anche quando in una logica trans-idiomatica e transculturale.
Io non voglio che qualcuno mi spieghi questo mistero. Voglio abitarlo e viverlo. Possibilmente senza dargli un nome. Ecco, il sogno di Centripeta è proprio dare voce al mistero, a quelle musiche che non nascono dal nome e dalla volontà ma dal desiderio e dalla voluntas. Senza commettere l’errore di affidargli un destino previsto. O prevedibile.
UTOPIA
Non è in fondo questa, l’Utopia del Linguaggio Universale, della Musica Totale, dell’Esperanto? Una musica senza nome ed inesistente ha bisogno di qualcuno la genera continuamente, per questo servono musicisti svegli, oltre che competenti. Il musicista non è sveglio quando una parte di sé si affida all’automa, che non vive nel presente. L’automa non ha nulla da dire che non sia già stato detto, perché per natura replica. Sempre meglio, ma replica. Rappresenta, mai manifesta. E ancora torna la necessità di una presenza totalizzante.
RIPRODUZIONE
Le musiche del novecento, l’era della riproduzione meccanica, nascono in una condizione intrinsecamente speciale e del tutto nuova: la riproducibilità del documento di un gesto performativo, nei secoli precedenti inimmaginabile.
Per chi come me è cresciuto nell’improvvisazione, anche quando studiavo i repertori, la potenzialità di poter scrivere partiture in tempo reale fissandole in documenti registrati è stata da sempre vissuta come un occasione e un grande privilegio, specie se confrontata con la vita dei grandi improvvisatori del rinascimento e del barocco, che nella migliore ipotesi potevano contare sulle trascrizioni degli studenti più devoti. L’ irripetibilità dell’improvvisazione si spezza nel novecento con la riproduzione. E’ un evento straordinario, una irresistibile possibilità. E una affascinante responsabilità. Per la prima volta l’improvvisatore si rende conto di essere un compositore, sebbene con tempi creativi radicalmente diversi, perché la registrazione eternizza e diviene “partitura”. Sono certo che l’impatto deflagrante del jazz nella storia della musica devo moltissimo al secolo Ion cui è collocato, alla tecnologia della riproduzione: per la prima volta la verità inconfutabile di un performer nel suo “qui ed ora” diviene scrittura. Questo è stato l’elemento iniziatico decisivo che mi ha rapito e che ancor oggi mi fa sentire appartenenza nei confronti di quel “marchio”. Non il suo nome, non i suoi stili, non i suoi linguaggi, sebbene io ami alla follia diversi eroi delle tante tradizioni. No, è la sua attitudine a considerare l’improvvisazione nucleo fondante, comune denominatore, radice profonda e nascosta.
AUTENTICITÀ
La riproduzione contiene anche un lato oscuro. L’imitazione. Specialmente oggi, dopo quasi cinquant’anni di globalizzazione dei mercati, la riproducibilità ha moltiplicato la clonazione del gesto espressivo. Addirittura sappiamo che in molti casi potrebbe avere più mercato una cosa “riprodotta” di una originale, che non si conosce ancora perché nuova, sconosciuta, imparagonabile e per questo ai più incomprensibile.
E se è vero come è vero che è mercificato il desiderio, ecco che nel mercato molta parte della comunità sceglie di abitare il mercato in modo -per così dire- parassitario, senza rischiare, semplicemente replicando ciò che già esiste, studiato e storicizzato (sdoganato, si dice non a caso). Dico semplicemente in senso artistico, naturalmente, perché non è affatto facile essere un buon parassita, replicare con qualità.
Ma è puro artigianato che risolve alla base le ambizioni e i travagli dell’arte e dell’espressione. Evita di intraprendere il percorso più complesso, quello dell’esploratore, quello che scava gallerie con le mani nude dell’ignoto. E al contempo per soddisfare il desiderio collettivo di ascoltare più volte la stessa cosa. Nel peggiore dei casi lo fa perché serve un marchio per veicolare più rapidamente un’attività in relazione alle logiche mercificanti del mercato, e queste sono ragioni e desideri decisamente extra-musicali. E, va detto, anche nel mercato non sempre può funzionare. Posso fare la Coca Cola, ora? No, c’è già, posso solo imitarla. Mi conviene? Non so rispondere con certezza: mi vien da dire che dipende dai punti di vista. Se l’obiettivo fosse esclusivamente professionale in qualche caso -forse- potrebbe funzionare per un po’, diciamo ottimisticamente un paio d’anni e solo… evitando di chiamarla Coca Cola: le affido un nome diverso, disidentificandola dal suo marchio.
Ma se l’ambizione è invece autenticamente artistica, connessa con l’espressione del sé individuale, allora sarà in assoluto una grande occasione persa. Persino blasfema se in presenza di talenti certi.
NUCLEO
L’ultimo passaggio della catena virtuosa tra ricerca e produzione è l’autonomia nella documentazione dell’attività della ricerca stessa, che così può ambire ad un documenta sonoris attraverso una precisa collocazione, nella quale riconoscersi.
Un amplificatore per la voce di un’intera comunità, potenzialmente somma trasversale di più comunità, che crei identità attraverso l’identità stessa delle sue pubblicazioni. Questo è il senso del suo nome centripeto, che vuole raccogliere più forze diverse e attrarle verso un nucleo essenziale. Il nucleo è il cuore della Musica, nella sua matrice generativa universale di senso e significato, spogliata da idiomi e stili, paradigma di contenuto ed essenza.
fulcro
E questo è anche il senso della sua immagine: la scelta concentrica di ogni copertina, serializzare l’immagine dei cerchi multipli verso il centro è il suo manifesto: la complessità e le diversità di linguaggi è rappresentata dalla moltitudine delle figure concentriche attratte dal fulcro. Segni e colori differenti, stessa attrazione verso il nucleo.
essenza
Da un punto di vista individuale, invece, il senso è di distinguere le personalità degli artisti dalla loro essenza. Le personalità rappresentano l’immanenza cangiante, le varie passioni, gli studi, gli incontri, le letture, il contesto, i maestri, la famiglia; potenzialmente sempre in divenire, trasformazione, naturale metamorfosi. Il nucleo/ fulcro invece è l’indivisibile, l’essenza individuale, che invece è la zona permanente, presente dalla nascita con i suoi talenti e i suoi limiti. Musica essenziale, dunque.
spazio
Serve spazio. Lo spazio non c’è? Lo creiamo, è necessario e deve essere un luogo autonomo e dinamico che documenti in modo unitario una complessità che è linfa propulsiva sia della musica tutta che della specifica comunità che la coltiva. L’obiettivo è dare voce alla ricerca musicale, che come qualsiasi altro ambito di ricerca ha bisogno di essere documentato. Quali sono i riferimenti di questa piattaforma discografica? La creatività, la libertà e l’indipendenza rappresentano lo strumento attraverso cui perseguire i propri sogni e raggiungere la propria vera natura con umiltà operosa, attraverso il fare, dunque produrre, creare, appunto.
CREATIVITÀ
La creatività ci ricorda ogni giorno del nostro lato divino, che è solo potenziale e per rivelarsi ha bisogno di sperimentarsi. La coscienza che siamo da sempre spontaneamente in grado di creare qualcosa che prima non esisteva è un privilegio ed una responsabilità. Molti musicisti a causa di questa assenza di coscienza finiscono per assoggettarsi alle tendenze e omologarsi ad un conformismo musicale quasi sempre dettato dal contesto, che infine pesa sull’intera scena, appiattendola.
Il nucleo originale sui cui si baserà il lavoro di Centripeta e le sue pubblicazioni si forma fondamentalmente su questa indipendenza culturale e sui tre archetipi della forza creativa, per me oggi indispensabile sostanza viva dell’azione musicale.

INNOCENZA
Il primo archetipo è quello dell’Innocente. Innocenza basata sulla purezza e persino su di una certa sana ingenuità o, se si vuole, assenza di furbizia. Ingenuità è una parola che significa innato, che per il talento è un valore da proteggere. L’innocenza è onesta per definizione, non nuoce, è ciò che durante la costruzione di un’opera isola il musicista da pensieri extra-contenuto, e lo fa concentrare esclusivamente sulla sua propria ricerca di verità e bellezza. Nella musica questa protezione può offrire rifugio sia al gusto estetico, oggi messo a dura prova sia dalla globalizzazione culturale che da due questioni aperte e sempre presenti: l’equivoco della parola successo, esclusivamente appiattita su coordinate legate al consenso, che al sentimento della fiducia, fondamentale per ogni dimensione autenticamente artistica e preziosa nella sicurezza del gesto performativo.
L’improvvisazione è la culla dell’innocenza e del gioco serio, proprio dell’infanzia. La sfida di ogni improvvisatore è dedicarsi all’arte dell’improvvisazione senza mai spezzare l’incantesimo della meraviglia e mai smarrire l’incanto della scoperta. Ciò che provoca l’incantesimo è l’incontro con la musica e il suo mistero sempre nuovo, la meraviglia del suono in sé e per sé.
ISTINTO COSCIENTE
Il secondo archetipo è apparentemente dell’innocenza opposto contrario, il Saggio: la conoscenza e la consapevolezza, l’abitudine a sperimentare e a sperimentarsi, Il saper fare è la memoria cosciente da cui nasce la forza intrinseca di un gesto musicale, somma di fede, determinazione, studio e lavoro, che determinano fiducia, spessore, credibilità e competenza. L’arte dell’improvvisazione è il canale privilegiato di ciò che considero istinto cosciente.
ESPLORAZIONE
Infine l’archetipo dell’Esploratore, che conquista la libertà attraverso l’avventura e la ricerca, sperimentando soluzioni anche in assenza di modelli di riferimento, sfidando ogni confine con audacia ed entusiasmo. L’arte dell’improvvisazione è il luogo proprio della ricerca e del ritrovamento, della sperimentazione e della comprensione, del mistero e della rivelazione, del buio e della luce.
LIBERTÀ
Le parole libertà e indipendenza, se quando applicate all’opera musicale e alla sua produzione, nella loro complessità possono significare molte cose diverse: liberi e indipendenti dalle mode e dalle tante volatili tendenze del presente? Facile, non c’è dubbio, assolutamente sì! Liberi dal mercato e dal consenso? Parliamone! La Musica è, deve essere e sempre sarà la traccia, la prova, il segno di una civiltà. La sua resilienza. E’ necessario dunque che sopravviva ai popoli e ai corpi di chi la produce. Per questo le mode e il presente non sono mai attendibili in tal senso, impossibile considerarli come una prova tangibile di spessore. A meno che non abdicare e abbandonarsi al contesto, rassegnandosi al pensiero che, “essendo brutto il mondo e brutta la civiltà”, sia giusto rappresentarla attraverso il brutto. Ma sappiamo già che non è così, ce lo insegna la storia. Il punto è: rivelare la bellezza, se/quando nascosta, persino seppellita.
Solo il Tempo filtrerà, in modo quasi sempre misterioso ed imperscrutabile. Al consenso del presente, al pensiero di quella eventuale sopravvivenza e immortalità non dobbiamo dedicare nemmeno un secondo, intanto che facciamo il nostro lavoro: non rientra nei nostri compiti, non ne abbiamo controllo e non può essere un presupposto.
INDIPENDENZA
Libero in quanto indipendente? Dipende. L’indipendenza culturale è intrinseca alla libertà. L’arte sotto certi aspetti deve essere indipendente.
Ma non si deve scambiare questa indipendenza con l’emarginazione o l’assenza di riconoscimento e consequenziale sostegno. In questo senso l’arte è auspicabile sia dipendente da qualcosa o qualcuno (soggetti, istituzioni, sponsor) a patto di mantenere e proteggere la libertà di cui sopra.
E anzi dobbiamo continuare a lottare perché esista questo genere di dipendenza, questo canale virtuoso per il quale l’artista, quando ri-conosciuto, non sia costretto ad inventarsi promoter, gallerista, produttore, sponsor, influencer, editore, mecenate, espositore, vetrina, ufficio stampa, grafico. Insopportabile.
RESPONSABILITÀ
Individui liberi per una musica libera, dunque. Non lo dico per snobismo, dobbiamo ammirazione e rispetto per galleristi e produttori, se/quando a loro volta sinceramente appassionati e rispettosi.
Lo dico perché ogni minuto nel quale l’artista sottrae del Tempo al suo strumento di devozione (il fare: studiare, scrivere, comporre) per occuparsi di altro, dobbiamo avere la certezza che parte delle sue energie andrà perduta, assorbita in altro, spesso persino inquinante, abbassando per conseguenza la sua concentrazione totalizzante sull’opera, sul suo segno, sulla sua specificità. Dunque sarà di fatto meno responsabile, in un certo senso, innescando un circuito perverso per il quale l’espressione del popolo, in scala, sarà inevitabilmente più debole. Dobbiamo quindi coinvolgere e responsabilizzare la società, anche se da tempo ci sta comunicando che ha scelto la tecnologia come segno della civiltà, e l’arte rischia di passare definitivamente a puro intrattenimento, alto o basso che sia e per lo più gratuito, smarrendo il suo ruolo funzione nel mondo.
L’indipendenza dunque è una questione più complessa, perché in molti casi riguarda direttamente la sinergia tra forze creative e risorse economiche, talvolta esistenziale ed imprescindibile. La collaborazione, il sostegno, l’unità tra forze diverse è sempre virtuosa se/quando non intacca e indebolisce libertà ed indipendenza culturale, sia di contenuto che estetica. Il Tabula Rasa Ensemble, ad esempio, che abiterà questo catalogo con una presenza massiva e costante, è un sogno che si concretizza esclusivamente grazie a questo genere di sinergia. Dunque non è indipendente!… Eppure è libero.
DEVOZIONE
La nostra responsabilità è fare in quanto strumenti della musica, dare una forma concreta al nostro amore incondizionato.
Il compito è la devozione. Il soggetto è la musica, non siamo noi. L’oggetto musicale è il nostro soggetto. Non il sé, o il noi.
Il sé ed il noi debbono però poter essere liberi e incondizionati, per ottenere opere libere e incondizionate.
Prima di tutto, come dicevo, la libertà nel concepire autonomamente l’opera, dunque dare un volto tangibile al gesto d’amore, a quella devozione: quando l’artista concepisce un documento di sé, qualsiasi esso sia, dentro di sé deve (ri)conoscere quanta percentuale di libera e spontanea verità individuale abita quell’opera e quanta sopravvive all’incontro/scontro con il pensiero di attrarre “dall’esterno” un’attenzione su di sè, nel momento in cui la si produce “chiudendola”, per così dire, in un oggetto di mercato e tra. Il circuito deve invertirsi: i musicisti lavorano per la musica e non la musica che lavora per i musicisti. Abbiamo idea di che razza di filtro potentissimo è giudicare la musica in base a quanta passione, talento, lavoro e amore incondizionato sprigioniamo nei confronti della musica? Il contadino non si dia pena: è la terra che dona!
OPPORTUNITÀ
E in questo senso il motto è l’autonomia tout-court, proprio per difendere alcune questioni centrali già dichiarate (libertà, indipendenza): in ogni passaggio e in tutti i sensi, con i pro e i contro. In assenza di quel virtuoso e sempre auspicabile sostegno esterno la strada più opportuna oggi è proprio l’indipendenza produttiva, oltre che culturale. Specialmente da quando il mercato è imploso polverizzandosi nella digitalizzazione e la gratuità. L’opportunità significa cercare di costruire dei compromessi virtuosi, abbassare al massimo i costi ma senza cedere alle derive di una fruizione (mal)educata da supporti inadeguati (computer, telefoni…!) dalla percezione svilita che diminuisce il livello di precisione e spazializzazione della ripresa del suono. Educare all’ascolto è un’altra responsabilità nostra. La qualità del suono è uno strumento che a sua volta insegna ad ascoltare e sviluppa il nostro universo percettivo. Dobbiamo lottare per non scivolare dall’alta fedeltà rincorsa nell’era del boom della riproduzione meccanica, alla bassa fedeltà (o alta infedeltà) dell’era digitale dove la relazione col suono, nelle sue dimensioni (acustiche, elettroacustiche e elettriche) svilisce e diviene sciatto.
L’indipendenza e l’autonomia spiegano il motivo per il quale oggi, paradossalmente, la casa discografica torna ad essere un’opportunità per motivi diversi da quelli che ne avevano mosso l’esistenza nel secolo scorso. Se si ama davvero la musica sembra possibile partecipare al mercato più di un tempo, proprio perché il mercato, con le sue logiche di un tempo non esiste più, e con lui va scomparendo consequenzialmente la figura del grande produttore che investono nella ricerca e nelle nuove musiche.
DOCUMENTA SONORIS
Oggi il produttore è il musicista, sostanzialmente. E questa indipendenza, pur nel disagio che ogni autonomia porta con sé (disorientamento, gli oneri di investimento, risorse di natura varia), può farci vivere la produzione musicale in modo finalmente libero e sollevato, delineando un effetto complementare rispetto all’attività concertistica che invece, basandosi su di un circuito rituale che prevede presenza ed ascolto, non può accogliere un’autonomia totale, ha bisogno della presenza triangolare di un’organizzazione e del pubblico. Al contrario, la produzione che documenta la ricerca musicale oggi si può definire definitivamente sottratta alla competizione, alleggerendosi dalla corsa ai media più o meno specializzati e ai suoi spazi di esposizione, evitando la costrizione di dover spiegare l’inspiegabile e descrivere l’indescrivibile, in una moltitudine quasi sempre assai più articolata rispetto ad una semplice corrente stilistica: arrivo ad immaginare una produzione esclusivamente artistica e documentale (con artistica intendo espressione autentica del sé individuale e/o collettivo), proprio perché non più inquinata da questioni di carattere extra-musicale: l’eterno equivoco tra musiche facili e difficili, il successo e l’insuccesso, il ricatto delle vendite, i download, i like, e così via.
OBIETTIVI
Gli obiettivi sono semplici e vanno sottolineati continuamente: attraverso una documentazione libera definire un contro-mercato dedicato alla ricerca musicale, che di fatto mercato non è perché per natura si sottrae alle regole del mercato stesso, proprio allo scopo di evitare contaminazione nei contenuti attraverso le strategie della normale competizione.
Quindi, si tratta di documentare una vita, come un archivio universale, senza confini di genere
NUOVA MUSICA
L’ambizione è di riunire nel catalogo le tante esperienze di un nucleo di musicisti di estrazione musicale diversa e creare una casa, dare luce alla loro vita creativa attraverso le possibilità inesauribili che offrono sia l’improvvisazione se/quando ordinata in un contesto formale, sia la composizione di nuove musiche.
Quindi provare ad unire le molteplici tradizioni in un’ottica contemporanea, senza rinunciare a combinare tradizioni e sperimentazioni, radici popolari con le più recenti avanguardie, creando il presupposto di possibili sviluppi innovativi che segnino una concreta traccia per le nuove musiche a venire.
Oggi come nel futuro prossimo venturo potrebbe diventare proprio l’improvvisazione l’occasione di riavvicinarsi ad una dimensione universale più creativa e neutrale, inclusiva anziché divisiva, non solo simbolicamente.
Recuperando l’improvvisazione come gesto musicale privilegiato per l’incontro e il dialogo, attraverso la creazione di una sorta di terra di mezzo, un territorio comune a tutte le varie tribù della comunità musicale.
Limbo virtuoso al quale tutti possono riferirsi nel momento del dialogo, attraverso capacità e coscienze determinatesi via via lungo il percorso di sperimentazione e produzione musicale. Un possibile codice universale, condiviso
APPARTENENZA
Chi appartiene musicalmente alla cosiddetta generazione post-moderna ed è cresciuto nell’ultimo quarto di secolo dello scorso millennio ha dovuto fare i conti con un processo di globalizzazione che naturalmente per inerzia ha coinvolto anche i linguaggi dell’espressione artistica. Con i pro e i contro. I vantaggi di questa rivoluzione, estremizzatasi attraverso internet, sarebbero il possibile dialogo creativo, la reciprocità nelle influenze, una dinamica propulsiva, generatrice. Il potenziale disastro invece l’imperialismo culturale e l’omologazione. Io ho sempre gioito delle possibilità che donavano le musiche di emanazione jazzistica nel combinare liberamente le passioni e i linguaggi musicali di diverse zone del pianeta. Arrivo a dichiarare che sono quelle le uniche ragioni che mi spingono ad accettare la definizione di jazzista. Oggi in ogni ambito artistico va’ superata ogni ideologia contro qualsiasi altra forma espressiva portatrice di verità, bellezza e qualità, a prescindere dalla sua matrice genetica, epifanica geografica e culturale.
METAMORFOSI
La musica è una, e merita di più dei confini che le si disegna intorno: merita apertura totale perché certi cambiamenti culturali profondi non sono e non devono essere cercati o voluti, ma semplicemente accettati e accompagnati, e mi riferisco ad ogni metamorfosi naturale e alle trasformazioni. Il mondo cambia e con lui cambia la musica proprio se continua ad essere l’espressione di questo mondo, la sua verità. Nostra responsabilità è partecipare al tentativo di renderlo migliore attraverso musica di significato.
Importantissimo il nostro ruolo nel guidare coscientemente le trasformazioni-di-fatto senza creare ostacoli ideologici e lottando con tutte le forze invece perché questo cambiamento non coinvolga anche lo svilimento di quei contenuti che simbolicamente rappresentano oggi al meglio la tradizione in movimento, espressione della nostra civiltà in un’ottica dinamica e progressiva, volta fieramente in avanti.
IDENTITÀ
Come dicevo, l’altra faccia della medaglia nel considerare il mondo un potenziale spazio unico è quello di annullare le differenze, che non sono quelle di genere o di razza, per carità, ma che invece sono la manifestazione di retaggi culturali millenari, attraverso una lenta, paziente e naturale trasformazione.
Sono differenze che hanno a che fare con la bellezza e la sua dimensione profonda, verticale, forte perché radicata.
Il grande equivoco è considerare la protezione delle differenze culturali, della specificità delle varie identità e delle loro tradizioni, una retroguardia colpita dalle derive nazionaliste di questi anni. No. Se nelle politiche umanitarie, basate sui valori dell’umanesimo, il progresso nei diritti civili è necessario guardare avanti, ebbene nell’arte come in altre categorie sotto la voce “sviluppo” dobbiamo considerare invece, all’opposto, che la globalizzazione è un disastro, una vera e propria sciagura. L’imperialismo culturale è il male assoluto della specificità dell’espressione, nei molteplici dettagli, nelle infinite sfumature. Depotenzia, annulla, sottrae e non moltiplica
MOLTITUDINE
Il rischio della monocultura è che il giardino del mondo finisca per essere abitato solo da pochi fiori parassiti che assoggettano e si mangiano gli altri; pochi, aggressivi ma bruttini, perché il più delle volte replicati a forza; devastanti o devastati, anziché integrati e frutto di un reale assorbimento paziente, quello dato dai grandi movimenti antropologici.
Ce lo insegna ogni giorno la natura, altrimenti non l’avremmo chiamata cultura. Quelli sono i tempi naturali delle trasformazioni, delle mutazioni: i secoli. Io continuo a sognare la stessa visione di questo giardino: infiniti fiori selvatici, forti, splendidi e tutti diversi. Armonia. Una tavolozza con gli infiniti colori della natura e non solo qualche colore spremuto e sbiadito come un’ombra.
Filosoficamente la musica è una perché è l’anima mundi di questo pianeta, e ovunque deve poter avere lo stesso significato. Ma le musiche, intese come tradizione, persino tribale, retaggio, lignaggio, appartenenza devono essere infinite come le anime che lo abitano, auspicabilmente. Una ricchezza, non una povertà. Una moltitudine, non una sintesi. L’incubo di suonare e ascoltare sempre la stessa musica, in ogni parte del mondo, è dietro l’angolo. Se non lottiamo e mettiamo una presenza lucida si tratta forse di attendere un secolo o poco più. Tutto uguale, stessi suoni, stesse forme, uguali durate. Non è forse la sfida più grande che abbiamo davanti a noi, con l’assorbimento pratico dell’intelligenza artificiale, che da teoria scientifica in meno di un secolo si è trasformata in pratica concreta?
ADESSO
La musica contemporanea da un certo punto di vista è l’unica musica che davvero ha ragione d’essere, dato che il passato non c’è più ed il futuro non c’è ancora. Il legame con l’adesso e la contemporaneità è esistenziale per tutta la musica. Interpreti e compositori dei secoli passati agivano attraverso logiche del presente, suonando strumenti diversi collocati in sale diverse per un pubblico diverso.
TEMPO PRESENTE
In particolare tutti i linguaggi la cui matrice storico-epifanica si fonda attorno al qui ed ora dell’improvvisazione, certamente debbono riferirsi alla contemporaneità per definirsi e determinarsi, provando ad agire nel Tempo presente. Altrimenti, riferendosi sempre solo al passato (il repertorio) o al futuro (rivolgendosi ad una comunità auto-riferita esclusiva e separata dalla realtà, smarrendo così il ruolo sociale che la), ebbene si corre il rischio di lasciare tutto il campo della contemporaneità alle musiche di consenso popolare, persino all’intrattenimento.
ATEMPORE
La contemporaneità ci chiede di creare nuova musica, possibilmente ogni giorno, lavorare simbolicamente in una dimensione universale che determina comprensione trasversale, oltre ai linguaggi che dividono: per questo potrebbe rivelarsi utile ed importante de-strutturare e concentrarsi su opere rivolte ad un senso atempore della musica, come fosse primitiva e futuribile al contempo.
TABULA RASA
La conoscenza e la coscienza dell’uomo sono immaginati da Aristotele come un vuoto da riempire, un foglio bianco sul quale inscrivere le sensazioni e le esperienze di apprendimento. In concreto la Tabula rasa era una tavoletta in cera sulla quale gli antichi filosofi scrivevano quotidianamente i loro insegnamenti e gli esercizi tramandati dai maestri, per poi cancellarli alla sera così da poter riscrivervi sopra il giorno successivo e ricominciare da capo il processo di apprendimento. Metaforizzato è un concetto pedagogico applicato all’assorbimento degli insegnamenti, alla coscienza e alla consapevolezza, ed ha un doppio importante significato: mantenere quotidianamente intatta l’umiltà del non-sapere e sperimentare ogni giorno l’abbandono ideale dei modelli e stili sin lì studiati ed acquisiti per ritornare ad uno stadio di costante re-inizio indotto, mantenendo intatta la purezza del desiderio di apprendimento.
Trasposto dalla filosofia all’esperienza musicale, il concetto mantiene intatta tutta la sua forza, a favore di una rinnovata freschezza creativa, della protezione dell’autenticità, il rifiuto all’imitazione e alla ripetizione, a favore di un costante, ideale azzeramento, per ripartire da capo ogni giorno, alla scoperta di un’istinto consapevole.
RADICALITÀ
Le pubblicazioni di Centripeta, come nella filosofia del Tabula Rasa Ensemble, potrebbero essere anche manifesto di una volontà di radicale cambiamento, che nella musica è in atto dal secolo scorso a causa della velocità dei movimenti antropologici. Ancora però, si fatica ad accettare l’abbandono delle categorie, sebbene si teorizzi la musica totale dagli anni settanta.
Centripeta in questo senso sarà la casa della tabula rasa proponendo alternative a diversi aspetti dell’omologazione musicale: sia negli organici, sia nelle forme compositive, sia nella macrostruttura delle opere, sia nella drammaturgia dei concerti. Tutti contenuti che, in qualche modo hanno subito la standardizzazione dell’era digitale e della consequenziale forma mentis “orizzontale” determinatasi: la concentrazione necessita oggi di più shock multipli per garantire una certa qualità di partecipazione/ascolto. Ogni tipo di rito, dalla messa al concerto, ha una clessidra assai più limitata di un tempo, la sua durata è drasticamente diminuita.
Nell’era dell’immagine, solo il cinema ha trovato la sua metamorfosi naturale, e i registi più ambiziosi narrativamente hanno trovato la loro collocazione nelle serie tv, dove la frammentazione in capitoli riesce a sopperire alle esigenze di racconto e scavo dei personaggi per un tempo superiore a quegli 80 minuti che sono il limite standard del film mainstream. Il Tempo della musica sembra invece sempre più assoggettato a Chronos, la quantità/lunghezza, anziché riferirsi a Kairos, che del Tempo è la qualità, i contenuti. Con Centripeta voglio lottare per ostacolare la deriva della concentrazione all’ascolto. E con il Tabula Rasa Ensemble talvolta i concerti superano le tre ore. E le opere documentate avranno anche forme di più di duecento minuti, divisi per album e in alcuni casi disponibili anche in confezioni triple o quadruple.
INSIEME
Mi piace molto la tradizione dell’Ensemble, che può essere modulare, un quintetto o anche un’orchestra. Insieme. L’insieme organico. La musica dell’Ensemble dovrà essere una musica e non il risultato giustapposto dell’incontro-scontro tra musica classica e jazz, nemmeno la somma sovrapposta di due filosofie di pensiero, categorie estetiche e idiomatiche diverse. Servono al contrario nuove produzioni, nuove tradizioni, generazioni di musicisti responsabili ed espressivi, oltre che bravi.
LABORATORIO
La prassi dell’Ensemble si focalizzerà attorno alla pratica metodologica dell’improvvisazione, con l’obiettivo ultimo di annullare idealmente le distanze espressive e formali delle tecniche strumentali con quelle della composizione, determinando una maturazione consapevole unitaria e totalizzante attraverso l’esperienza della composizione-istantanea, in continuità con la zona più importante, caratteristica ed identitaria dei Laboratori Permanenti di Ricerca Musicale.
La prassi esecutiva si svolgerà attorno a strutture/partiture morfologiche aperte ad ogni eventuale genere di cooperazione collaborazione con compositori e performers: importante concettualmente che sia sempre finalizzato all’esperienza performativa e alla produzione.
Le partiture dovranno essere un modus operandi (o anche semplici percorsi semantici) che valorizzi il dialogo virtuoso tra notazione musicale tradizionale e improvvisazione, disciplinata attraverso precise indicazioni narrativo-morfologiche, consentendo di sfruttare al massimo le potenzialità espressive e spontanee della tabula rasa, ma senza mai separarsi completamente dal valore strutturale e drammaturgico della composizione.
RIFLESSIONE
Interessante sarà lo sviluppo proprio della relazione tra improvvisazione e scrittura semantica, sia in un senso di riflessione sul significato che di disciplina indagante il collegamento fra le espressioni simboliche e ciò a cui intendono riferirsi. Un sistema.
SIGNIFICATO
Il significato della musica su questo pianeta è (col)legare le anime di persone diverse, tutte, anche quando non si conoscono. E’ un percorso di legami ideali, simbolici e non: legame tra gli esseri viventi, tutti; legame tra i musicisti di aree diverse; quello tra musiche diverse.
Legami tesi a (ri)creare identità individuale e definire un carattere collettivo nuovo, privo di modelli di riferimento e del tutto centrato sull’offerta musicale, dunque per la musica e non per il singolo musicista. Basato certamente sull’evoluzione del sistema percettivo individuale, ma proiettato verso la musica e non sul musicista, più sul senso ed il contenuto reale che il suo strumento. Infine sulla capacità di mantenere un’identità pur attraversando contesti assai diversi, indipendenti da imitazione e/o rappresentazione di stili pre-esistenti.
PRODUZIONI 2025
Nel 2025 si inaugura il catalogo di Centripeta con la seconda produzione Chigiana del Tabula Rasa Ensemble, in quell’edizione composto da 13 elementi: Kum! Si tratta di tre album (Kum!, Qawm e Goum) che in CD sono raccolti in un un unico box set triplo.
Si continua in primavera con due soli: Vox Humana, frutto dello straordinaria ricerca compiuta sulla voce da Elsa Martin, con la quale esiste un sodalizio dal 2026, specialmente focalizzato sulla poesia friulana (Pasolini, Cappello, Cantarutti, Tavan ed altri) e concretizzatosi in tre album (Sfueai, Al centro delle cose, Lyra).
L’altro solo è un mio piano solo del 2010, registrato live da Stefano Amerio a Siena, nella Fortezza Medicea. E’ un lavoro ispirato dal ciclo poetico La Subida del Monte Carmelo del mistico Juan de La Cruz. Ho diviso il documento in due album, il primo è Musica Salva e uscirà in primavera, il secondo è Oscura e uscirà nel 2026.
L’estate sarà il momento della primissima produzione chigiana con Tabula Rasa Ensemble: il doppio album Blossom, del 2019. L’Ensemble nella sua prima edizione era composto da 12 elementi: 4 voci (mia figlia Camilla, Elsa Martin, la siciliana Adele Russotto e la piemontese Andrea Silvia Giordano), clarinetto (il toscano Leonardo Agnelli), tromba (il toscano Tommaso Iacoviello), due chitarre elettriche (il laziale Nicolò Faraglia e il toscano Eugenio Stella), harmonium (il lombardo Angelo Petraglia), vibrafono e marimba (suonati dal lucano Nazareno Caputo) e percussioni (Nicholas Remondino).
Si continua con Out Beyond, un lavoro dedicato alle liriche del poeta afghano Rumi con il quartetto Tetraktys, che oltre a me al piano vede Tommaso Iacoviello alla tromba, Sarvin Asa al violoncello e Stefania Scapin all’arpa.
Poi sarà la volta di Nebula, un lavoro focalizzato sulla composizione devozionale, che mi vede in veste di compositore e di pianista, affiancato dal contrabbassista milanese Stefano Zambon e dal batterista campano Giovanni Nardiello.
In autunno sarà la volta di una delle più complesse produzioni chigiane con Tabula Rasa Ensemble: ∏ÅT∑RYÆ, che sarà composto da ben 7 album in tutto. 3 usciranno nel box triplo omonimo, gli altri 4 usciranno nel 2026 nel box quadruplo Synolon. ∏ÅT∑RYÆ è formato da Atómia, Kora e Stati di aggregazione, registrati da un Ensemble di 15 elementi formato da Elsa Martin, Stefano Agostini, Christian Thoma, Ludovico Franco (tromba), Cosimo Fiaschi, Tobia Bondesan, Francesco Panconesi (sax tenore), Maria Vicentini al violino e alla viola, Sarvin Asa al cello, Michele Bondesan al contrabbasso, Stefania Scapin all’arpa e 3 percussionisti (Nicholas Remondino, Pierluigi Foschi e Giuseppe Sardina).